domenica 17 luglio 2011

Non videro nulla perché non guardavano nulla. Non sanno come guardare

Ho letto ieri un proverbio senegalese riportato da un gruppo su fb: "E' cieco chi guarda con gli occhi soltanto."
…e ancora: ”Il fatto che le culture differiscano nelle modalità percettive non dimostra che qualunque atto percettivo sia buono o che «tutto è relativo» alla percezione. Chiaramente alcuni contesti richiedono una prospettiva più ristretta, altri una percezione più ampia, olistica. I nomadi del mare sono sopravvissuti grazie a una combinazione della loro esperienza del mare e della percezione olistica. I membri di queste tribù sono in tale sintonia con il comportamento del mare che, quando lo tsunami del 26 dicembre 2004 colpì l’oceano Indiano, uccidendo milioni di persone, si salvarono tutti. Videro che il mare aveva iniziato a ritirarsi, e che l’onda di riflusso era seguita da un’altra onda insolitamente piccola; videro i delfini nuotare verso acque più profonde, mentre gli elefanti fuggivano disordinatamente verso le alture e le cicale smettevano di cantare. I nomadi del mare iniziarono a raccontarsi l’un l’altro l’antica leggenda dell’« onda che inghiotte le persone»: l’onda era tornata. Molto prima che la scienza moderna capisse cosa stava succedendo, i nomadi avevano già abbandonato il mare alla ricerca di tetre più alte, oppure si erano spostati dove l’acqua era più profonda, e si salvarono. Ciò che furono in grado di fare, a differenza di persone più moderne e analitiche, fu mettere insieme tutti questi eventi insoliti e considerarli nella loro globalità, da una prospettiva eccezionalmente ampia, persino per gli standard orientali. Difatti, anche i marinai birmani si trovavano in mare quando giunse lo tsunami, ma non si salvarono.A un nomade del mare venne chiesto com’era possibile che i birmani, i quali conoscevano il mare, fossero morti tutti.L’uomo rispose: «Stavano pescando i calamari. Non guardavano nient’altro. Non videro nulla perché non guardavano nulla. Non sanno come guardare».” di N.D. da “Il cervello infinito” - Ponte delle Grazie
Un amico una volta mi ha detto qualcosa del tipo: “…è certo che se vuoi vederla una cosa la vedi (anche se non esiste)”…e io aggiungo: se una cosa non la vuoi proprio vedere non la vedi, neanche se ce l’hai davanti agli occhi…
Metsuke: fissare lo sguardo (dal glossario dell’Aikikai); parlare dello sguardo, di cosa e come vedere…più ci penso e più sembra una cosa difficile, una cosa che sembra, che dovrebbe essere innata, ma che allo stesso tempo viene facilmente deviata dalla cultura, dal nostro modo di vivere…insomma da cose inscindibili (anche se diversissime nella loro varietà e modificanbili) dalla condizione di essere vivente.
Guardare, percepire, interpretare (SAPER interpretare), sviluppare la propria sensibilità…
Il primo passo sembra quello di prendere coscienza di chi siamo, delle nostre potenzialità sensibili (si vede con gli occhi, con la pelle con le orecchie, col cuore con la testa…con tutti noi stessi).
Il secondo, imparare ad usare e a controllare questi sensi, dal punto di vista fisico (tanto per tornare alle tribù nomadi del mare (vivono ad al largo della costa ovest della Thailandia) che per poter avere una visione nitida sott’acqua riescono a controllare non solo la forma del cristallino, ma anche la dimensione della pupilla) e dal punto di vista dell’elaborazione mentale (come interpretiamo quello che “vediamo”? che peso gli diamo? lasciamo dello spazio per poter di volta in volta integrare la nostra interpretazione iniziale fino a renderla il più possibile vicina alla realtà o ci “fissiamo” sulla prima impressione?)…insomma, forse più che per avere il controllo si tratta di avere la consapevolezza di quello che facciamo e del peso culturale/psicologico che attribuiamo a quello che percepiamo.
Il terzo…bho…forse solo rimanere aperti a quello che ci circonda.

domenica 3 luglio 2011

26/06/2011




Tipico esemplare di aikidoka maremmano

Sabato e domenica scorsi una parte del MU GEN è andata a Pitigliano per lo stage del maestro Anzellotti ed alcuni di noi, Francesco, Giacomo T., Filippo ed io abbiamo anche sostenuto l’esame.

Ecco, per me si trattava del primo esame sostenuto fuori sede e questa è stata già una novità…

…sostenere un esame con un insegnante esterno non è la stessa identica cosa che sostenerlo all’interno del proprio dojo…

Nel fare un esame da esterni da una parte si è facilitati, credo soprattutto dal punto di vista emotivo: sostenere un esame con una persona che conosci e che ti conosce è più impegnativo, mette più in ansia rispetto al farlo con qualcuno che non conosci, sì, insomma, non entrano in gioco fattori di tipo emotivo/affettivo...

Allo stesso tempo si possono presentare maggiori difficoltà, ad es. essendo l’aikido sostanzialmente libero nella forma, viene a volte richiesto di adeguarsi alla forma del maestro esaminatore, cosa per me non sempre facile ma che fortunatamente non è stata pretesa in maniera rigida.

Avevo assistito agli esami tenuti dal maestro Anzellotti nel giugno scorso e nell’ultimo marzo e la preoccupazione più grande era quella di… riuscire ad arrivare fino alla fine senza collassare :)

La tensione prima degli esami

5 ore e mezza di esame (12:00 – 17:30) per 26 esaminandi (circa)…

Il maestro prima di iniziare ci ha chiesto di salire sul tatami solo se veramente sicuri di voler dare l’esame, cioè solo se avevamo la voglia di metterci in gioco fino in fondo indipendentemente dall’esito dello stesso esame o del fatto che ci saremmo potuti/dovuti ritirare a metà perché magari non ci si sentiva bene, ci ha ricordato di essere sinceri verso noi stessi e verso i compagni di pratica.

Per fortuna, a parte qualche fischio nelle orecchie e un po’ di sudore freddo a un paio di ore dall’inizio, è andato tutto bene…sarà che in parte stavo attenta a percepire eventuali segni di svenimento (visto che con il caldo mi è successo qualche volta di andare giù), forse sarà stata la stanchezza, ma, pur trovandomi lì ho seguito con attenzione solo parte dell’esame: mi sono accorta di alcuni errori che ho fatto, ho seguito gli esami dei primi gradi ( 6° e 5° kyu) e la fine esame dei gradi alti, ma non sono riuscita a seguire tutto con attenzione… anche questa una lezione interessante (per certi versi più che mostrare quello che avevo imparato, detto semplicisticamente, l’esame è stato un ulteriore, particolare e interessante momento di studio)…

…in realtà con i compagni d’esame, Salvo, Fabrizio ( che a metà esame si è sentito male e si è ritirato) e Xxxxx si è stabilito un bel rapporto di sostegno reciproco e si è scherzato e anche riso fino alle ultime tecniche (..tanto che a ripensarci forse in alcuni casi sono/siamo stata/i anche un po’ indisciplinata/i ).

...a volte praticare con persone che normalmente si allenano con uno stile non del tutto uguale al tuo non è facile, ci si intreccia, ognuno da per scontato e “assoluto” il proprio modo e non ci si capisce, in questo caso non è stato così, nessuno ha rinunciato alla propria forma, ma lo abbiamo fatto riuscendo ad integrarci, costruendo qualcosa insieme…

…fino a prima dell’esame pensavo che alcune cose, esami compresi, era meglio affrontarle da soli, mi sono dovuta ricredere…

…è stato bello fare l’esame assieme a compagni “quotidiani” di pratica…

…è stato bello essere accompagnati da Gianfranco, Giacomo G. e Marco che sono venuti allo stage pur non dovendo fare l’esame e che si sono fermati (chi poteva e fino all’ora che poteva) ad aspettare la fine del nostro esame…

…è stato bello trovare Nicola in cima al tatami, venuto appositamente per gli esami…del resto l’esame era anche il suo, come maestro e se non ci fossero stati gli ultimi inconvenienti anche come praticante.

Alla ricerca del ristorante

…alla fine è stato spontaneo abbracciarsi e ringraziarsi, è capitato con molti, non è stato possibile con tutti e non con quelli che sento come importanti rispetto a questo percorso che ho intrapreso …

…a volte, per tanti motivi, le parole restano o devono restare in gola…ma le parole alla fine, parole sono…

… è stato un bell’esame anche se faticoso.